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La pecora nera di Venezia (una tradizione, ormai)

Dopo quanti anni e quante ripetizioni un’abitudine diviene una tradizione? Non lo so, sta di fatto che per il secondo anno consecutivo inauguriamo il reportage da Venezia scritto da chi a Venezia non ci va. D’altronde la variazione che potete trovare ancora nel sito è stata abbastanza premonitrice, non trovate? Sto cominciando a diventare più prevedibile del Fantastic mr Fox di Wes Anderson. Solo un po’ più annerito e belante.

Ma siccome quest’anno non vogliamo farci mancare proprio niente, al contrario di quello passato il reportage non lo faccio a giochi finiti, ma ben quattro giorni prima dello showdown finale. Per dire: qua facciamo la cronaca minuto per minuto bendati e con i tappi nelle orecchie. D’altronde era troppo facile scrivere un articolo postumo. Non aveva l’aria della sfida, del rischio e del metterci la faccia (per farsela spiaccicare) tipico di Five Obstructions.

Bando alle ciancie e cominciamo.

E giusto per tenere fede alle tradizioni, anche quest’anno cominciamo dall’italianità in mostra. Cominciamo dalla Pecora nera alla quale ho scippato l’idea per il titolo del post (e il film deve solo sentirsi onorato di ciò, beninteso!), un’opera seconda che a leggere com’è realizzata pare rischiare di essere la più ruffiana delle prese in giro ipocrite, ma lascia spazio (per chi ha talento) per riuscire davvero a parlare al cuore.

E siccome l’anno scorso si spernacchiava (a ragione) Placido, quest’anno si torna sul suo Vallanzasca con qualche speranza in più. Ah Michè: ebbasta con queste polemiche da quattro soldi e fuori tempo massimo. Fai quello che in Italia pochi sanno fare e hai la fortuna di aver tra le mani: un po’ di genere per farci tornare con lo spirito ai dorati anni ’70 del cinema italiano. Pure Saverio Costanzo, data la giovane età di tutto il progetto, è solo da lodare.

Passiamo al film d’apertura: il Black Swan di Darren Aronofsky. Riuscirà il buon Darren a fare ciò che solo ai cinesi sembra essere lecito, ovvero vincere un altro Leone d’oro a due anni dal suo primo trionfo? Difficile, ancor di più se si pensa che in concorso c’è il The ditch di Wang Bing (ahi! Muller: nun t’azzardà!).

Tutti i miei favoritismi (accendiamo un cero al signor Tarantino) vanno a quel bel mascellone di Vincent Gallo: non solo grande interprete, ma anche regista di gusto che in passato ha saputo lasciare il segno (Buffalo ’66 è roba da inchinarsi e lodare Iddio). Un altro allegro minchione che mi piacerebbe vedere sugli allori è Alex De La Iglesia ma, a parte che ultimamente è un po’ suonato, comunque nemmeno ai suoi tempi migliori era uomo da Leone d’oro. E questo era tutto il suo bello.

Del film della Coppola pare di non potercisi fidare. Tra gli antipatici io metterei anche Schnabel, vincitore sì di Cannes, autore sì di un film che lascia il segno (Lo scafandro e la farfalla), ma mi pare che abbia raccolto più di quanto meriti. Dal burrone buttiamo anche, e stavolta senza nemmeno aver la cortesia di spenderci due righe di circostanza e motivazioni, pure Tsui Hark (e ritirati, su!) e Tom Tykwer. Discorso diverso per Larrain, che ha esordito col bello Tony Manero.

Se però dovessi spendere e scommettere due lire su chi sia il favorito di Tarantino, beh… Tutti gli indizi porterebbero a Miike Takashi. E ho detto tutto. (E poi il 2010 è l’anno della Zebra! Non sapete di che sto parlando? Tutti a vedere Zebraman 1 e 2, perdinci!)

Fuori concorso? Tutti aspettano sicuramente Machete di Robert Rodriguez, ma ciò che mi salta agli occhi è un documentario con Luciano Ligabue, Carlo Verdone e Fabio Volo. E che è? L’all star dei pezzenti? Di peggio potrebbe esserci giusto un film dei fratelli Pang in 3D (come dite? C’è davvero? Oh Signore…). Michele fortemente disapprova. Molto meglio dedicarsi a Incerti e Bellocchio.

Tra i due Affleck sceglierei Ben (incredibile!) anche perché Casey si dedica a un biopic sul da me odiatissimo Joaquin Phoenix (che ricordo con piacere solo in Buffalo soldiers). Tra coloro da recuperare di sicuro sta anche Svankmajer. E direi che per stasera può bastare.

Ah, com’è che finiva il post dedicato a Venezia 2009? “E il 2010 è l’anno giusto per andare a Venezia, ne sono sicuro.” Lacrimuccia. Sipario.

Saluti,

Michele

PS: Se notate ho messo a questo post esattamente gli stessi tag del post dedicato alla sessantaseiesima mostra. Ma quanto sono metanarrativo? Mi faccio paura da solo.

PPS: Venezia 2011. E’ praticamente fatta. Dai.

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