IFF Boston parte 2
Chiudiamo dunque la parentesi che ho aperto la settimana scorsa sull’IFF Boston. Per prima le comunicazioni ufficiali: i vincitori. Per quanto riguarda la narrativa il premio della giuria è andato a Down Terrace: una crime comedy britannica (evidentemente l’humor del paese della nebbia ha una certa presa sui bostoniani). Il pubblico ha invece premiato Winter’s bone che, se non erro, ha raccattato qualcosa anche al Sundance di quest’anno (e ciò è male, per un’infinita serie di ragioni). Versante documentari: per la giuria vince The oath, la storia di due arabi i cui destini si intrecciano da 1996 alla sbarra della corte suprema passando per l’11 Settembre. Per il pubblico il vincitore è stato Family affair, un documentario sulla pedofilia. Infine i corti: la giuria dice Born sweet (Cambogiano), il pubblico God of love la cui sinapsi è interessante: un campione di freccette (!) entra in possesso di alcune freccette magiche in grado di far innamorare le persone.
E questa è cronaca. Veniamo alle opinioni, alle visioni di prima mano. Come anticipato qualche giorno fa, mi sono gustato tre film e ve li presento in ordine di visione.
Il primo è Perrier’s bounty, ed è stato anche quello che ho gradito di più del terzetto. Lo Ian Fitzgibbon alla regia mi era del tutto sconosciuto, ma è stato in grado di confezionare un pulp noir veramente efficace. Siamo lontani dal videoclippismo di Ritchie o dal postmodernismo di Tarantino, ma Fitzgibbon ha il merito di non montarsi troppo la testa. Sa avere le idee giuste per inquadrare una sceneggiatura ben scritta da O’Rowe (Intermission e Boy A). Al resto ci pensa un cast ispiratissimo: dal cattivo Gleeson passando per Byrne, Broadbent e, soprattutto, il Cillian Murphy che sembra capace di trasformare in oro tutte le sue interpretazioni. L’irlandese pulp è arduo da capire senza sottotitoli (a parte “Fock!”, quello è chiarissimo e lo dicono ogni tre parole ), ma assolutamente intraducibile e imperdibile. 4 / 5
Il secondo è Cracks. Ambientato in un collegio femminile britannico degli anni ’30 e interpretato, tra le altre, da Eva green e la gnocchissima Maria Valverde, il film si rivela essere piuttosto scialbo. Protagonista è la voglia di evasione e di essere speciali e libere delle ragazzine in una fase importante della loro crescita. A coltivare questo terreno c’è l’insegnante di educazione fisica, che però sa cogliere anche lo spirito artistico e anarchico della vita. A destabilizzare il tutto arriva il personaggio della Valverde, una ragazza straniera. E da quel momento ciò che era libertà diventa rancore, ciò che era desiderio diventa invidia. Molto simile, in alcuni passaggi di sceneggiatura, a Io sono l’Amore di Guadagnino, Cracks ne condivide i limiti. Il finale è particolarmente brutto, come nel film italiano, ma d’altronde è abbastanza inevitabile ed è quindi proprio l’idea del film da buttare via, per quanto la pellicola sappia regalare i suoi momenti godibili. 2 / 5
Infine ho visto The killer inside me, addirittura preferendo questo film alla pellicola di Solondz. La scelta è assolutamente sbagliata se si pensa alla differenza di caratura tra l’americano e Winterbottom, che è un regista mai capace di andare considerevolmente sopra la sufficienza. Eppure che ci posso fare? A me Winterbottom sta simpatico, e pure tanto. E, parlando di accenti e interpretazioni impossibili da capire all’infuori della lingua originale, non ci si può proprio perdere l’enorme lavoro di Casey Affleck. D’altronde tutto il film è costruito intorno alla figura malata del suo gentiluomo fuori e marcio criminale dentro. Una dicotomia tagliata con la solita accetta “made in Winterbottom”, eppure in grado di catturare ed esplodere in alcuni scatti di cara vecchia ultraviolenza. Come al solito: niente di che, ma assolutamente da vedere. 3 / 5
Aspettiamo tutti con ansia il festival di Settembre.
Saluti,
Michele