Botond Részegh
E’ uscito questa settimana negli Stati Uniti il nuovo libro di Albert-László Barabási. Barabási è un fisico di origini rumeno-ungheresi ed è un guru nella scienza delle reti complesse, chiamata Complex Network Analysis o Social Network Analysis (incidentalmente è anche il tizio presso cui sto facendo i miei studi esteri, dettagli). Il libro si intitola Burst e segue Linked, che era più orientato verso i temi delle reti complesse. Se vi piace la saggistica scientifica divulgativa dateci una letta perchè ne vale la pena, Barabási scrive veramente bene. (Se proprio non volete leggerlo, invece, almeno adottatene una povera e sperduta parola! Non costa niente e le darete una casa per tutta la vita, oltre a ricevere un bel certificato di adozione ).
In Burst in particolare i capitoli “scientifici” sono intervallati dalla narrazione di una storia popolare della Transilvania e da illustrazioni che cercano di fornire una sintesi tra le due anime del libro. Queste illustrazioni sono ad opera dell’artista, sempre unghero-rumeno, di cui vi parlo oggi: Botond Részegh. Perchè ve ne parlo? Perchè sono stato a un suo seminario di presentazione in cui ho avuto l’occasione di interagirci. Ragazzo simpatico e brillante, per quanto il fatto che entrambi parlassimo una lingua non nostra abbia un po’ ovattato lo scambio di domanda e risposta (ha premesso all’inizio “In Hungarian I express what I want, in English I express what I can”).
Botond ha proiettato una buona parte dei suoi lavori passati e presenti leggendo la sua lettera di intenti, redatta qualche anno fa. Ci si rende conto, anche senza tale presentazione, che la sua è un’opera oscura, piena di angoscia e dolore. L’unico grande tono dominante della sua pittura è il nero. Dice delle sue opere: esse cercando di essere la figurazione e l’incarnazione di sensazioni astratte come la paura, il dolore e la sofferenza. Due sono le serie di opere che più scavano in questa caratterizzazione: la serie sulla mitologia personale (quelli che chiama “Mondi Immaginari”) e quella sulla tragedia del Kursk.
Nei Mondi immaginari Botond realizza la sua “personale mitologia”. Ovvero una raffigurazione bestiale di contaminazioni antiche greche con la modernità anche a volte infantile, ma sempre intima e personale, dell’autore. Ricorrente è per esempio la figura del minotauro, che però viene trasfigurato più volte fino quasi a diventare una mucca, o qualcosa di completamente diverso, fino a raggiungere quasi il non figurativo.
E’ nella serie della tragedia del Kursk che questa tendenza al non figurativo esce fuori in maniera più netta. Perchè Botond per sua stessa ammissione si trovava di fronte al rappresentare la tragedia di una morte che stava arrivando inesorabile. Resosi conto dell’impossibilità di una traduzione in qualcosa di concreto, Botond trasfigura il sottomarino e l’acqua in sofferenza pura, mescolando simbologie interpretabili secondo diverse sensibilità. E così la struttura del sottomarino che cede sotto l’entrata dell’acqua viene disegnata come un elettrocardiogramma piatto, la fine di tutto.
Perchè parlare di un pittore su un blog di cinema? Primo perchè sono incoerente. E secondo perchè sono riuscito a fargli una domanda diretta sulle mie sensazioni nel vedere le sue opere. Tali sensazioni partono soprattutto dalle sue serie sulle bestie mitologiche. In tali serie ho trovato più di un parallelismo con un regista ungherese, un maestro del cinema: Béla Tarr. I suoi minotauri non sembrano altro che una trasfigurazione della gigantesca balena che occupa il centro della piazza del film Werckmeister harmóniák. Inoltre i suoi toni cupi e temi ossessivi trovano un paragone stilistico nel bianco e nero usato da Tarr e nei suoi opprimenti e interminabilmente belli piani sequenza. “E’ reale questo parallelismo?” ho chiesto a Botond.
Con tutta sincerità Botond mi ha risposto di non essersi mai ispirato al lavoro di Béla Tarr. Tuttavia mi ha detto di aver visto almeno due dei suoi film (ed escludo che uno dei due sia Sátántangó, visto che non mi ha tirato dietro niente mentre lo diceva). E che lui stesso era in grado di trovarne una matrice comune. Non tanto in ispirazioni dirette, quando in un terreno culturale comune, fatto di miseria e di povertà. Condizioni in cui vivono le persone a cavallo tra Ungheria e Romania. Un terreno di ispirazione condiviso dal quale germogliano espressioni molto simili nonostante il medium assai differente e il non essersi mai soffermati l’uno sulle opere dell’altro.
Questo è quanto. Alla prossima “intervista”, lettori.
Saluti,
Michele
Thank’s Michele:))
Botond
You’re very welcome, it was a pleasure to write this post
I enjoyed very much the talk you gave some days ago