IFF Boston: Parte 1
L’essere in una grande città delle dimensioni di Milano e, forse, a livello internazionale leggermente più importante (certamente con Pisa il paragone è impietoso), comincia a dare i propri frutti. Sono infatti in programma almeno due festival del cinema: il Boston Film Festival (17-23 Settembre quest’anno, nelle edizioni passate sono stati premiati film come Apaloosa e Flash of Genius), ma soprattutti il festival del cinema indipendente (IFFBoston) cominciato il 21 Aprile e della durata di una settimana.
Poteva dunque il vostro buon Michele perdersi un’occasione del genere? Potevo risparmiarvi un post saccente e autoreferenziale in cui mi vanto semplicemente di esserci andato? Sono forse queste domande retoriche? E’ retorico fare una domanda retorica chiedendosi se essa è retorica? Non mi ricordo cosa dovrei rispondere comunque, in buona sostanza, sono andato a due serate per visionare un totale di tre film. Ma soprattutto per respirare un po’ l’aria del festival.
Dei tre film che ho visto (Perrier’s bounty, Cracks e The killer inside me) parlerò in un secondo post, un resoconto dettagliato delle mie visioni. Qui invece vi parlo fondamentalmente del festival e del suo programma.
Lo scenario è il multisala di Somerville. Boston è una città fortunata per quanto riguarda il cinema: ce ne sono molti e le alternative al paradossale sistema distributivo americano non mancano. Arriverà anche per Boston il post per la guida alla sopravvivenza cinematografica, ma vi basti pensare che in America normalmente i film proiettati sono solo in lingua inglese. Paradossale è il caso di Rec, fenomeno horror che invece di essere importato è stato soggetto a un remake fotocopia americano per essere distributo qui. Qua, grazie a Somerville con questo festival e altri cinema come Kendall sq e Coolidge corner, è possibile vedere anche film di importazione non in lingua inglese. E l’IFF è il tempio di queste possibilità.
Un tempio fatto di tanta buona volontà, pochi soldi e tantissimi volontari. Ogni film è introdotto, più che da una lettura critica, dall’elenco degli sponsor che hanno permesso finanziariamente tutto il baraccone. Un’aria provinciale nel senso buono del termine, un festival fatto di tanta passione e poca premeditazione, un atto d’amore per il cinema che mal si sposa con gli sfarzi di red carpet e premi dorati (leoni, palme od orsi che siano). E proprio per questo va il mio sincero apprezzamento a tutto quanto.
Programma dunque: che cosa c’è in questo IFF Boston 2010? Una divisione quasi completamente tripartita tra corti, documentari e fiction. Di corti, ahimè ho visto e sentito poco, dunque non ne posso parlare. Per quanto riguarda la narrativa, invece, ci sono dei nomi di tutto rispetto da tenere d’occhio.
C’è innanzi tutto il Winterbottom del già citato The killer inside me e autore di moltissime pellicole che hanno visto sicuramente in molti, pur senza conoscere a fondo il regista. C’è l’italiano Luca Guadagnino del già visionato Io sono l’amore, che rappresenta un sicuro passo in avanti rispetto a Melissa P, ma ancora difficile da trattare come un’opera matura e compiuta. C’è tutta la cattiveria satirica del miglior Todd Solondz con il suo Life during wartime. C’è Soul kitchen di Fatih Akin e Cella 211 di Daniel Monzòn, di cui ho visionato l’interessante The Kovak box. Tra i nomi più famosi ci sono infine l’amato sudcoreano Kim Ji-Woon con il da poco recensito in una variazione The good, the bad, the weird e l’ultimo di Ken Loach interpretato da Eric Cantona.
Per la sezione documentari ci sono senza dubbio nomi di minor impatto, quantomeno nel grande pubblico. C’è Negroponte, la storia di un tossicodipendente curato con i metodi degli sciamani africani. O Life 2.0, un documentario, se non ho capito male, quasi interamente girato all’interno di Second Life. Oppure il documentario sulla vita di Elliott Smith.
Insomma: ce n’è per tutti i gusti. Per le mini-impressioni sui film visionati vi lascio al prossimo post, per raddoppiare l’effetto del mio pavoneggiamento bostoniano.
Saluti,
Michele
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