Videoludo

Del videoludo cinematografico: Heavy Rain e Modern Warfare 2

Per l’attesissimo angolo del “vergonoso-post-segnaposto-quando-non-ho-recensioni-o-variazioni-da-proporre”, oggi parliamo delle contaminazioni che stanno tra il mondo videoludico e il cinema. Tema abbastanza trito e ritrito se siete tra quella categoria di giocatori intenzionata ad approfondire un po’ quello che per gli altri è un semplice passatempo dalla dubbia maturità. Non intendo dire nulla di nuovo, probabilmente, e il poco di nuovo che ho da dire farà rizzare i capelli sulla testa di molti. E’ un carico di oscenità che alle orecchie di un onesto frequentatore di Ars Ludica credo suoni come se dentro San Pietro entrasse Benigni proferendo il suo monologo bestemmiante in Berlinguer ti voglio bene.

La prima cosa da chiarire è che il moto della contaminazione che ci interessa è quello che parte dal cinema e arriva al videogioco. Di trasposizioni cinematografiche di popolari titoli ludici poco me ne tange: esse non sono ancora arrivate al punto di definire una semantca e un’espressione nuova nel cinema. Film come Resident Evil, Silent Hill e Tomb Raider sono film normali in tutto e per tutto. A volte son fatti bene, altre volte male, ma il punto è che trame e personaggi riportati su celluloide non presentano alcuna contaminazione videoludica nel modo di inquadrare la storia. Dunque niente di innovativo, niente di interessante (da questo punto di vista è molto più interessante Crank).

La storia della contaminazione cinematografica all’interno dei videogiochi è abbastanza lunga. Non la sto a ricordare per due motivi. Primo perchè non la conosco e secondo perchè è abbastanza indifferente ai fini del post (che sono quelli di farvi perdere tempo). In realtà perchè essa è stata vista in maniera un po’ troppo unidirezionale, e cioè con le contaminazioni che dal linguaggio cinema passano a quello del videogioco. Contaminazioni che coinvolgo soprattutto il modo in cui il giocatore interviene sulla storia, ovvero giocando. Esempi classici sono, per dirne alcuni, Dragon’s Lair, Final Fantasy e Indigo Prophecy, a volte conosciuto col titolo Fahrenheit.

Proprio quest’ultimo titolo della Quantic dream fa parte del più immediato regime di interesse proprio per la recente uscita di un suo nuovo cuginetto: Heavy Rain. Il fiocco azzurro in casa Quantic dream è abbastanza simile come approccio a Fahrenheit. Io non ci ho giocato in quanto convinto pc-ista ed Heavy Rain pare non in uscita per la piattaforma PC, ma solo per Ps3. Tuttavia quanto valeva per le caratteristiche salienti di Fahrenheit vale anche per Heavy Rain, con l’eccezione del fatto che è tutto più curato, più dettagliato e più estremo.

Quali sono dunque le caratteristiche salienti dell’approccio di Heavy Rain, della Quantic dream in generale e di David Cage in particolare, il master mind dietro ai progetti di questa Software house? L’idea è quella di portare ad estremo contatto il mondo del cinema con quello del videogioco. E il modo di farlo sostanzialmente non cambia la sua filosofia da quel Dragon’s Lair che citavo poc’anzi: il giocatore è chiamato fondamentalmente a muoversi con approcci molto diversi nella scena (terza persona, prima persona, inquadrature insolite che lasciano una prospettiva particolare, ecc…) e a seconda di questi approcci può interagire in maniera limitata con l’ambiente circostante. Spesso è chiamato a premere semplici combinazioni di tasti e/o movimenti e, a seconda di rapidità e mosse corrette, parte un successivo spezzone di filmato o gioco.

In pratica il giocatore è chiuso dentro una gabbia dorata. Tutto quello che gli appare agli occhi sembra un film: ne ha le stesse caratteristiche di trama dettagliata, fotografia, personaggi che agiscono e ci fanno scoprire pezzi della storia e quant’altro. E tutto questo accade in Heavy Rain nel 2010 esattamente come in Dragon’s Lair nel 1983 (non ero ancora nato :’) ).

La gabbia dorata è la stessa che riveste il giocatore in tutti gli altri titoli di tutti gli altri generi videoludici. Tuttavia negli ultimi anni il videogioco si è spostato sempre più verso gli eventi scriptati. Un evento scriptato si può vedere come una tagliola: il giocatore esegue una determinata azione e questa parte e si sviluppa in maniera indipendente. Fino agli ultimissimi anni gli eventi scriptati erano una tagliola fin troppo evidente, che ammazzava completamente la sospensione dell’incredulità e ricordavano costantemente al giocatore che stava dentro un videogioco, dentro questa gabbia che nemmeno appariva tanto dorata.

Poi l’arte dello scripting si è evoluta, e uno degli snodi su cui ho messo direttamente le mani fu Call of Duty. Non assumo per ignoranza personale che sia il vero capostipite, ma credo ci si avvicini abbastanza. In questa evoluzione gli eventi scriptati esistono sempre, ma sono talmente tanti e ben realizzati da fornire una cornice ambientale quasi naturale alle azioni del giocatore. Ci si trova finalmente immersi in un ambiente che non è solo oggetto passivo, ma diventa attivo e protagonista dello snodo della vicenda.

Questo nel tempo è diventato un pregio, anche se non nascondo che nelle prime incarnazioni di Call of Duty il giocatore pareva un contorno superfluo all’azione, cosa un po’ sconfortante per un videogioco. Adesso con Modern Warfare 2 è tutto dove deve stare: script che scattano alla perfezione e quasi del tutto invisibili, piccole animazioni e chicche che rendono l’azione di squadra molto più immersiva e una moleplicità di punti di vista diversi con cui confrontarsi (oltre il classico FPS anche corse in slitta, movimenti da sub, irruzioni da SWAT e compagnia bella).

Insomma: anche lo scripting è diventato una gabbia dorata, proprio come il cinevideoludo di Heavy Rain. Dove sta la differenza e la mia malcelata preferenza per il primo rispetto al secondo? Sta nel fatto che sostanzialmente la gabbia di Heavy Rain è dorata, sì, ma le sbarre sono strette, vicine al giocatore, opprimenti. Si nota troppo il fatto di non avere alcuna libertà e di far scattare dei grilletti con le proprie azioni guidate. Nemmeno il paradiso dello scripting Modern Warfare 2 dà libertà d’azione, beninteso, ma almeno i confini di questa gabbia sono vaghi e indefiniti. La scena della fuga dalla favela ha echi visivi e stilemi di inquadratura tipici di un Black Hawk Down. Fahrenheit non raggiungeva mai eguali richiami di un Matrix, pur apertamente scopiazzandolo.

Secondo la mia modestissima opinione il percorso di Modern Warfare 2 è pieno di innegabili difetti. E’ commerciale, è su una linea evolutiva da sempre piuttosto conservatrice ed è dotato, tra le altre cose, di una trama ridicola, stereotipata e insensata (siamo ancora al “I guerrieri più forti del pianeta”, Gesù). Tuttavia è più vicino a quello che dovrebbe essere l’esperienza cinematografica interattiva per il videogiocatore, se non a livello di tecnica a quello di filosofia.

Heavy Rain assomiglia filosoficamente un po’ troppo alla poltrona con telecomando ideata dalla Gialappa in Tutti gli uomini del deficiente (a cui però manca il tasto “Nuda! Nuda!” e quindi gli è pure inferiore). Il videoludo cinematografico, almeno per la mia opinione sugli anni prossimi venturi, è fatto di immersione in un ambiente e una gabbia quanto più lontana possibile dagli occhi del giocatore. Dobbiamo essere parte integrante di un’azione coinvolgente, non annoiate divinità con un telecomando in mano.

Saluti,

Michele

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2 Responses to “Del videoludo cinematografico: Heavy Rain e Modern Warfare 2”

  1. On 15/03/2010 at 22:56 StM responded with... #

    Mi dicono che domani ci sarà su Ars Ludica un articolo su Heavy Rain.

    Non ho visto molti entusiasti del gioco, in giro per il forum.

  2. On 18/03/2010 at 10:32 Michele responded with... #

    Letto (http://arsludica.org/2010/03/18/heavy-rain-2/).
    Che dire? Mi fa piacere non aver fatto la figura dell’inesperto che prende cantonate :D
    Tra l’altro io non mi sento affatto “spaccato in due” per quanto riguarda Fahrenheit, come scritto in recensione: l’ho ben apprezzato, ne ho compreso i limiti ma me lo son goduto lo stesso. Insomma: negherei al buon Cage, bravo professionista con qualcosa che gli manca, anche la soddisfazione di essere un punto di rottura :P

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