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Salvatore Sanzo, je t’aime

Salve,

come già sapete per merito del mio esuberante collega musicale il sottoscritto ieri è diventato (quasi) ufficialmente un dottorando. La cronaca del mio terzo posto in graduatoria è emozionante e piena di colpi di scena, ma è francamente troppo lunga per essere riportata per intero (dovrei cominciare dalle eliminatorie, poi i gironi all’italiana… uffff troooooppo noioso). Per riassumere il tutto vi mostro una diapositiva del momento saliente dell’orale, possiamo notare come la mia affabile dialettica è stata in grado di farmi sgusciare all’interno della guardia della commissione.

Facezie a parte che cosa vuol dire tutto ciò? Che nei prossimi giorni dovrei essere libero dagli oneri studenteschi dell’esame (almeno fino a quando non comincerà il periodo di schiavismo coatto). Quindi questo blog vedrà qualche aggiornamento un po’ più frequente. Mentre non contate nemmeno per un attimo che ci saranno più aggiornamenti per le variazioni: quelle rimangono una volta a settimana come Topolino.

In onore del mio collega Salvatore Sanzo (bronzomunito a Pechino e ex Dottorando in quel di Pisa) e per evitare che questo blog diventi una discarica di fattacci miei, ecco una sottospecie di variazione di cappa e spada fatta alla buona in cinque minuti:

  • The Blade (Tsui Hark): uno dei non-così-tanti-quanti-si-penserebbe riusciti wuxiapian di un luminare del passato come Hark. Certo molto migliore di quella roba incredibile di Seven Swords (ma come, in nome di Dio, può essergli venuto in mente di far chiamare i suoi protagonisti con dei numeri? “Ehi 6, vieni qua!” “Eh no, caro 3! Io lo so che tu vuoi farmi fare la figura di un 7!”). Ma questo Blade è consigliatissimo: emozione e spettacolo assicurati. 4/5
  • Aragami (Ryuhei Kitamura): una robaccia che non ci si crede (ma d’altronde stiamo parlando di Kitamura, ce lo si può aspettare fin da prima dei titoli di testa). Un polpettone che in soli 70 minuti riesce ad annoiare più della corazzata Potionski di Fantozziana memoria. La trama in pratica si riassume in: un demone e un samurai parlano e ogni tanto si menano. 92 minuti di applausi. Non consigliabile nemmeno per farsi due risate (a parte il clamoroso finale). 1/5
  • Hana (Hirokazu Koreeda): atipicissimo film di samurai, molto ben curato nella sua sceneggiatura da un regista (Koreeda) che difficilmente avrei immaginato alle prese con le katane. L’azione è ambientata in un periodo di pace, che curiosamente si trasforma in un supplizio per coloro che della guerra fan mestiere. Il risultato è qualcosa di ben lontano dagli stereotipi classici del genere, con una curiosa importanza rivestita da tutto quello che ruota intorno ai samurai, più che al samurai stesso. Non per tutti. 4/5
  • Crying Freeman (Christophe Gans): curiosa trasposizione spaziale del samurai in terra americana ad opera di Gans (“quello di Silent Hill”). Protagonista è un samurai Hawaiiano vittima dei classici tormenti del killer redento dall’amore. Gli amici di ieri a causa di una bella guappa diventano i nemici di oggi. Stilosissimo nella regia (d’altronde stiamo parlando di Gans) non riesce in larghi tratti a cadere nel ridicolo involontario. A parte questo c’è da dire che la conclusione delle vicende è meno stereotipata di quanto si potrebbe temere dall’incipit. 2/5

Dottorsaluti a tutti!

Michele

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