Got Milk?
Van Sant ci riprova con il film biografico. Dopo il Last days dedicato agli ultimi giorni di Kurt Cobain e qui recensito in una variazione, lo straordinario regista del Kentuky vuole regalare un ritratto di Harvey Milk. Chi era costui? Harvey Milk è stato uno dei padri del gay pride, ma ancora prima è stato il primo uomo (dichiaratamente) omosessuale ad essere eletto in una carica pubblica negli Stati Uniti. Perdonatemi la facile ironia ma è quel (dichiaratamente) che fa tutta la differenza, eheheh.
Come suo solito Van Sant mette un sacco di carne al fuoco. Sul versante contenutistico il messaggio veicolato dal film è molto importante e splendidamente espresso. Viene presa la vita di Milk come esempio della parabola evolutiva che dovrebbero seguire tutte le minoranze oggetto di persecuzione e pregiudizio nelle società occidentali. Una società che opprime e reprime col sorriso sulle labbra, che cerca spesso nell’ipocrisia della gente di innalzare barriere che ne negano gli stessi presupposti su cui si dovrebbe basare.
Quando la società è tanto implicitamente repressiva essere “diverso” è un peso enorme. E quello che spesso succede è che coloro che sono additati come diversi tendono ad auto-ghettizzarsi. Anche lo stesso Milk all’inizio del film lo fa. Ma poi matura e capisce che è proprio l’auto-ghettizzazione che i “normali” vogliono, perchè delegano un lavoro sporco che non hanno il coraggio di fare ai sensi di colpa che cercano di inculcare a forza. Ma una volta sconfitta l’auto-ghettizzazione l’omosessuale, come il negro, come l’ebreo, come chiunque sia discriminato può riuscire a guadagnarsi il suo spazio vitale.
Tuttavia quello che manca nel film è un certo fuoco sacro che riesca ad animare la messa in scena. La ricostruzione del messaggio portato dalla vita e dalla morte di Milk è precisa e filologica, ma manca quello spunto in più, quello sguardo da artista che Van Sant è sicuramente in grado di dare. Il film sembra solo un gran bel compito. Ma poco più.
Sul versante tecnico il cineasta statunitense continua a stupire. La ricostruzione della San Francisco degli anni ’70 è stellare, così come gli eventi storici che scandiscono l’ascesa di Milk. E la sua discesa, come i sette colpi sparati. Tuttavia lo stile adottato naviga a metà tra i suoi massimi esempi espressivi (Gerry ed Elephant) e il suo lato più commerciale (Will Hunting) di cui lui si è sempre detto un fervido sostenitore, ma che trovo spesso svilente nei confronti di quello che può portare. Anche su questo lato quindi c’è una netta promozione, ma niente più.
Un film forse eccessivamente scolastico questo, che intrattiene, piace, fa ridere e riflettere, ma non travolge, non smuove, non solleva gli animi. Ma forse non è nemmeno il caso di farlo sempre.
4 / 5
Saluti,
Michele
quell’intervento colorato che anima il giro di telefonate a metà film, lo avrei riutilizzato in altri momenti.. >_<
Comunque ‘interpretazione di Sean Penn fa sua parte <3
:]
ps.Al Garibaldi danno “Un matrimonio all’inglese”…evitiamo yawol?