Film

Il cigno nero

Nina (Natalie Portman) fa parte del corpo di ballo di un’importante compagnia a New York. Compagnia che non se la passa troppo bene in termini di pubblico, anche per via dell’età che inesorabilmente avanza per la prima ballerina del gruppo (Winona Ryder). Proprio a causa di questo, il direttore e regista del corpo di ballo (Vincent Cassel) decide di cercare nella sua squadra una nuova prima ballerina che interpreti sia il cigno bianco che il cigno nero per la nuova versione che ha in mente de Il lago dei cigni. Tendente da sempre alla perfezione a un’ingenuità dovuta soprattutto all’invadenza della madre (Barbara Hershey), Nina non ha problemi ad interpretare il cigno bianco. Ma per il cigno nero avrà bisogno che qualcuno faccia uscire da lei il suo lato più oscuro e sanguigno, e la conturbante Lily (Mila Kunis) sembra proprio piovuta dal cielo per esaudire questo desiderio.

Sempre più, dopo il colossale The wrestler giustamente premiato a Venezia, la carriera di Aronofsky acquista senso e significato. Temi comuni che un poco mancavano e lo rendevano piuttosto anarchico, almeno fino a The fountain. Un periodo che, peraltro, proprio  per la sua grande imprevedibilità risultava un poco più affascinante. E quindi questo rinnovato senso non è nè qualcosa che i film di Aronofsky sentivano necessario, nè un passo indietro nella sua arte. Semplicemente, un nuovo corso. Che non vedo l’ora di proseguire con l’annunciato film di Wolverine, che dopo Raimi/Lee con Spiderman/Hulk o Snyder con Watchmen, può garantire una terza rivoluzione al cinefumetto.

Parlando del cigno nero risulta evidente fin da trailer e locandine il tema del doppio che il buon Aronofsky ha intenzione di trattare. Tema che è però solo la superficie di un’opera molto più profonda di quello che un semplice sdoppiamento non garantirebbe. In molti si sarebbero fermati al semplice conflitto tra le due anime, ma il buon Darren invece che inscenare la guerra tra lo Yin e lo Yang di Nina ne va a scavare le ragioni. Ragioni che si possono ricercare nel complesso rapporto che lega il personaggio della Portman a quello della madre. Una madre che riversa nella propria figlia tutte le aspettative di una vita e dei risultati che lei stessa non è stata in grado di raggiungere.

Il distruttivo amore paterno/materno di coloro che invece di proteggere i propri figli gli cacciano contro la maledizione del non essere mai abbastanza bravi, o di successo. Creando al contempo una barriera tra il figlio e il mondo, incapace di proteggerlo costantemente e quindi fonte di mortale distruzione appena qualcosa va ad infrangere il delicato equilibrio che si era andato a creare. Col risultato di dare il via a una generazione di automi, che vivono senza sapere perché vivono, incapaci di cogliere il bello dalla vita perché troppo indaffarati ad essere approvati. A raggiungere una vetta inutilmente più in alto. Senza contare che, una volta raggiunta la perfezione, che senso ha il dopo?

Aronofsky sa alla perfezione come raggiungere questo risultato. E, siccome sa di saperlo, come primo risultato asciuga la parte dialogica della sceneggiatura per evitare di spiegare l’ovvio. E porta la propria telecamera a diventare mezzo di comunicazione principale allo spettatore. Che può raggiungere vette di bravura eccellenti (bei piani sequenza, non esageratamente lunghi) a volte un po’ troppo sboroni (come le piroette attorno alla Portman in sala prove) qualche volta a macchiare con inutile leziosità il buon lavoro fatto (la sequenza dei dipinti della madre è stucchevole). In generale, il comparto di effettistica risulta magistrale, in quanto capace di bilanciare senza problemi computer grafica e ben più classico trucco. Nulla da dire sul sonoro: sbagliare un film del genere era impossibile e il compitino è stato svolto come da copione.

Ciò che più esalta della regia del buon Darren è la capacità di creare una commistione tra brutto e bello, o forse tra buono e cattivo (bianco e nero, guarda caso) che ha dell’esemplare. Si possono rintracciare qua e là pezzi di Gus Van Sant (Elephant), perfino Sorrentino (L’uomo in più) e Mann (Collateral). Anche se la parte del leone delle influennze, quella evidente e sotto gli occhi di tutti, è il ciclo Cronenberghiano della trasmutazione della carne (ormai passato da almeno tre pellicole e una dozzina di anni). D’altronde in una sequenza su due osserviamo la Portman mettersi e togliersi gli orecchini, giusto per parlare di piccoli dettagli a fianco delle evidenti lacerazioni su mani, piedi e spalle. E se alcune scelte come quelle Lynchiane di un estremo uso digitale del simbolismo e dell’effettistica farebbero correre il rischio di far scivolare la pellicola nel baratro dell’autarchia espressiva e della totale non-comunicazione (di cui David è maestro), nel Cigno nero lo spettatore non perde mai la bussola di ciò che succede, ma soprattutto di cosa significa ciò che succede. Non è cosa assolutamente da poco.

La nota in chiusura per il comparto attoriale, che alla fine si riduce alla sola Portman, in quanto presente in tutte le scene del film. Il lavoro della protagonista è eccelso, così come lo fu quello di Rourke per The wrestler, a riprova del fatto che Aronofsky sa cucire le proprie storie in modo tale da avere un vestito perfetto per i protagonisti che si sceglie. Scontato l’Oscar per la Portman, che comunque non fa molto di più di essere sè stessa in un ruolo scritto apposta per lei. Francamente, piacque di più Rourke forse per il fascino del ruolo decadente.

Ruolo decadente che vale l’ultima considerazione, ovvero quella sul finale. Senza spendere troppe parole per non riovinare la visione, i due finali hanno svariati punti in comune e potrebbero essere confusi l’uno con l’altro. Nulla di più lontano dal vero, che anzi parla di totale contrapposizione e quasi diametralmente opposta interpretazione (e, anche qui, si preferisce il lottatore).

4 / 5

Saluti,

Michele

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2 Responses to “Il cigno nero”

  1. On 21/02/2011 at 21:00 Maghetta responded with... #

    A parte che lei la adoro, è fantastica nel ruolo di protagonista.. The wrestler non mi era piaciuto molto, sarà che non mi piacciono quel genere di cose e quindi l’ho guardato superficialmente.. però questo mi ha fatto trattenere il respiro fino all’ultima scena, e mi piace quando succede

  2. On 21/02/2011 at 21:02 Maghetta responded with... #

    ehi perchè il mio avatar ha quella G capovolta :( rivoglio Kikiiiiii

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