Variazioni

Mafia (Made in Japan)

OstacoliFilm

1 - Brother
2 - Yakuza paper: Battles Without Honour and Humanity
3 - Ichi the killer
4 - Drunken Angel

Prima ancora di finire la variazione di variazioni dedicata al terrorismo, ecco piombarvi fra capo e collo un’altra collezione di mucchi di film separati per nazione. D’altronde la storia criminale tira un casino al cinema. E quella che comincio oggi, l’epopea del crimine organizzato, ha molto più successo di quanto non abbia il terrorista. Perché se il terrorismo fa parte del dissidio politico, quindi rimane più di nicchia per certa cultura kontro, il crimine organizzato richiama valori ben più radicati e universali nell’immaginario umano. Si tratta del potere facile, della scorciatoia per avere tutto subito, del vivere oltre le proprie possibilità e quanto sia concesso al “resto dei mortali”. Solletico per la sete comprensibilissima del benessere e per il sentirsi speciali e superiori a tutti. Da qui, nasce un terreno floridissimo per quanto riguarda l’espressione artistica, che tratta questi temi praticamente da sempre. Cominciamo il nostro viaggio quindi da una delle terre più famose di infiltrazione ed esportazione mafiosa. Quel Giappone che ha dato i natali a una delle più temibili parole internazionali: Yakuza.



1 - Brother

Altro autore da sempre legato al mondo della yakuza, ma un po’ a corrente alterna e mai unicamente focalizzato sul tema del crimine organizzato in favore di un’analisi più universale di sentimenti e persone, è Takeshi Kitano. Qui in Brother, il tema da lui trattato si avvicina di più a quello più classico della criminalità spicciola, abbandonando dunque il suo autorialismo elitario o anche solo una scarsità di interesse verso la quale si focalizza gran parte dell’esercito di cassetta giapponese.

Ovviamente è lecito aspettarsi che Kitano non si avvicini alla massa in maniera facile, immediata e priva di sfaccettature fuori di testa come solo il Beat Takeshi di Takeshis’ Castle (in Italia, Mai dire Banzai) saprebbe fare. Innanzi tutto la yakuza è più presente al centro della scena per mere necessità di sceneggiatura: al centro della scena c’è il rapporto di amicizia che arriva fino alla fratellanza. Quella condivisione totale di fiducia e rispetto reciproco che si sente fortissimo nelle file del crimine organizzato come quelle di commilitoni in una guerra in cui l’importante è guardare sempre le spalle a chi combatte al tuo fianco. Non fa eccezione la storia narrata da Kitano.

Dove esce fuori prorompente la sua carica eversiva sta nella furia iconoclasta con cui Kitano disintegra tutto il mondo culturale dedito alla chiusura a riccio e all’annientamento di una condivisione che farebbe più ricca l’umanità. Perché il rapportio fraterno che lega i protagonisti della vicenda di Brother, non è fra due pari Yakuza. Non è nemmeno fra due impari yakuza. Ma è tra un mafioso giapponese che si trova ben lontano dalla terra del sol levante e approda negli Stati Uniti. E qui lega con narcotrafficanti di colore, rappresentanti di un ghetto sporco e violento che mal si addice alla raffinatezza giapponese della via della spada. Ma in questo accostamento ardito sta tutta la forza di un film, che sa davvero mettere al posto e allo squallore giusto pretese di superiorità ed elitarismo, sia di una cultura su un’altra che di una persona su un’altra.

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Voto (4/5):


2 - Yakuza paper: Battles Without Honour and Humanity

Primo episodio della lunghissima serie degli Yakuza paper, questo Battles Without Honour and Humanity può senza dubbio contendere all’angelo ubriaco di Kurosawa lo scettro di capostipite e generatore del dizionario minimo della yakuza cinematografica. E’ vero che il film porta la data ben più tarda del 1973, ma è anche vero che la serie kult diretta dal grandissimo e compianto Kinji Fukasaku (non confondetelo col figlio Kenta, per carità!) si può tranquillamente considerare come un punto di svolta di questa infinita epopea.

L’ambientazione è infatti inconfondibile: quel crogiolo giapponese dell’immediato dopo guerra, quelgli anni 40 in cui ruggenti emergevano gang e famiglie. Ed è proprio nell’emersione contemporanea di poteri illegali che Yakuza paper getta le sue mani e i suoi occhi. Ad essere analizzato è quel feroce e autodistruttivo desiderio del vedere una torta bella, immensa e disponibile, ma accessibile a tutti. E vederne progressivamente staccarsi delle fette da parte degli altri. Ingordigia, gelosia, feroce volontà di essere gli unici sul trono più alto, che questo costi sangue e la perfetta consapevolezza che un potere del genere, per le stesse meccaniche con cui è stato guadagnato, non possa durare (insomma un po’ quanto Saviano stesso scrive in Gomorra).

D’altronde è il rovescio della medaglia di tutte le organizzazioni, criminali e non, che non si fondano sul merito e la competenza, ma solo su astuzia, ferocia e appartenenza a un gruppo che taglia fuori gli altri. Una volta arrivati in cima si può solo cadere perché si perde la forza e i collaboratori migliori in favore di un branco di scagnozzi il cui solo merito è l’ubbidienza. Fukasaku pone una pietra miliare, senza la quale probabilmente non avremmo nemmeno Miike, per dirne uno. E, nel caso che ve lo stiate chiedendo, questo film è ampiamente citato dal Tarantino di Kill Bill, anche nel titolo del famoso brano di Tomoyasu Hotei, sottofondo del trailer.

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Voto (5/5):


3 - Ichi the killer

Non poteva certo mancare Takashi Miike a dire la sua sul tema della yakuza. Perché su di essa Miike ha fondato praticamente la parte più importante della sua poetica, soprattutto nella primissima fase della sua carriera, quella degli esordi da videotape (Fudoh, Dead or alive, Full metal Yakuza, Blues harp, The bird people in China) ma anche gran parte della sua transizione al commerciale, come questo Ichi the killer.

In Ichi the killer, Miike si scatena, lasciando libero sfogarsi ai suoi istinti peggiori. C’è un gore e uno spatter senza ritengo, con persone tagliate di netto in due, mani mangiate fino allo scheletro, e la scena dello yakuza appeso al soffitto con i ganci, giusto per citarne tre tra le più celebri (ma ce n’è altre…). A questo incontrollato spargimento di sangue, Miike aggiunge anche la gratuità che da sempre lo caratterizza, nel peggiore dei modi (il rapporto fin troppo semplice che lega la libido del protagonista Ichi alla violenza, chiaro e disgustoso fin da come compare il titolo del film a schermo).

Tuttavia non si sottovaluti la pellicola come un mero esercizio di soddisfazione di un pubblico da cassetta voyeur. Con un colpo di coda finale, ma ben anticipato da un’atmosfera onirica e narcotizzata, Miike racchiude interrogativi e dubbi disseminati nella pellicola in un unico grande punto difficilmente spiegabile, testimonie del complesso rapporto tra potere, sadismo e, appunto, voyeurismo. Imperiali, in questo, le interpretazioni di Tadanobu Asano nel ruolo di Kakihara, ma soprattutto del Jijii di Shinya Tsukamoto.

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Voto (4/5):


4 - Drunken Angel

In tutta l’epopea yakuza nel cinema, che conterà ormai centinaia di film, si può dire che gran parte del lavoro di iconicizzazione e canonizzazione di stile e topoi letterari sia stato svolto proprio dall’angelo ubriaco di Akira Kurosawa. D’altronde si parla di un film uscito nel 1948, ben prima che esplodesse la popolarità del tema, soprattutto all’esterno del Giappone.

Di fatto il tema è la rappresentazione di due personalità prevalenti e strabordanti nella scena. Da una parte il giovane, idealista, assetato di fama, soldi, potere e donne. Dall’altra una persona ormai vecchia, che dovrebbe essere saggia e rappresentare la serenità della consocenza. Ma che da questa è tormentata e questo tormento la rende incapace di trovare le swcelte giuste per sé. Dall’alcool passa la sua bocca, dalla distruzione e annientazione totale del sè. Ma in questo nichilismo emerge la voglia di migliorare il mondo, di fare molto più di quanto sarebbe richiesto (comportarsi a modo) investendo la propria incolumità per salvare una vita da un baratro senza fondo.

Un rapporto dottore-paziente che evolve sempre più. Diviene al contempo amicizia, rapporto padre-figlio e oltre. Kurosawa poi esprime la sua arte al meglio. Dirige a tratti lucidamente, a tratti in stato di trance, come dopo una sbornia (celeberrima la scena nel locale notturno, con un Kurosawa quasi tarantolato e ipnotizzato dalle performance delle cantanti e della band).

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Voto (4/5):




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