S.T.A.L.K.E.R.
Colpevolmente (e ampiamente) fuori tempo massimo dedico questo post alla recensione di un videogioco che ho installato e giocato da poco (in ritardo, again). Trattasi di Stalker: Shadow of Chernobyl, prodotto che fin dal suo titolo esplicita un ben preciso piano stilistico. E che fa anche comprendere per quale motivo venga recensito qui e ora (o meglio una settimana fa): si tratta di un esperimento di cambio di medium simile al post dedicato al fumetto di Serenity di qualche tempo addietro.
In Stalker impersoniamo dunque una delle guide che danno il nome al gioco e al film, con la particolarità di avere un tatuaggio misterioso sul braccio (che ci vale il soprannome di Marchiato) e di avere la memoria cancellata. Solo un’indicazione: “uccidere Shrelok”. Viene quindi mantenuta la caratteristica del film di dare soprannomi agli stalker (il Porcospino) oltre a molte altre gustose cose.
Tutta la grafica è infatti ricalcata sulla splendida fotografia del film. Una natura sconfinata, intermezzi rugginosi, interni oscuri metallici e umidi. Una realizzazione magistrale che rende giustizia al concetto che nel videoludico il fotorealismo può ormai passare in secondo piano ed essere piegato a una visione artistica del mondo. Per fare un buon videogioco quindi non è più richiesta una grafica da urlo (spesso tra l’altro non apprezzabile se non su macchine fantascientifiche), nè rivoluzioni del gameplay alla Portal (che comunque sono ben accette!). Basta avere un’idea stilistica e saperla portare a fondo con coraggio.
Tra l’altro una scelta del genere rende anche ottimisti su una auspicabile crescita di considerazione del mezzo videoludico. Stalker rende evidente infatti che c’è posto per i registi e le loro sperimentazioni tecniche nei team di sviluppo. E non alludo a una mera fase consultativa come già se ne sono viste per prodotti decisamente mediocri e in fondo dedicate solo a una più prosaica fase di marketing. Ma proprio al coinvolgimento di nomi in grado di dare la giusta risonanza a una nuova forma espressiva. In tal modo si potrebbe innescare un circolo virtuoso per far definitivamente uscire i videogiochi dalla considerazione popolare di “cose per bimbi o per adulti non troppo cresciuti mentalmente”. Stalker è un primo, promettente, mattoncino.
Certo, lungi da me affibiargli dei meriti che non ha. Alle felici scelte narrative/grafiche corrisponde un gameplay piuttosto povero e ripetitivo, piuttosto vecchiotto. Osare di più e far fluire anche in questo aspetto le caratteristiche del capolavoro di Tarkovskij sarebbe stata un’operazione decisamente rischiosa e forse dagli esiti discutibili. Ma ciò non toglie che una più attenta fase di studio in questo aspetto del gioco sarebbe stata decisamente più apprezzabile.
La realizzazione dei pericoli della Zona sa forse di un po’ troppo “facile”. Piazzare due o tre hot spot evidenti da evitare non rende giustizia al mondo complicato scaturito dalla macchina da presa del cineasta russo. Non ho ancora terminato il gioco quindi non so quanto vale questa considerazione, comunque a fronte di una trasposizione del livello del “realizzatore di sogni” molto convincente, non capisco come mai non rappresentare anche la stanza di sabbia del film.
Alla fine di tutto il gioco è piacevole, godibile e per gli estimatori del film è un vero piacere sentirsi coinvolti in un ambiente che lo richiama a gran voce. Pollice su per gli sviluppatori.
3 / 5
Saluti,
Michele
Ho come la strana sensazione che ‘qualcuno’ sarà costretto a farmelo provare.. *firulì