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La tana del bianconiglio

OstacoliFilm


1 - Labyrinth
2 - MirrorMask
3 - Il labirinto del fauno
4 - Nel paese delle creature selvagge

Bildungsroman. Parola altisonante e difficile, proprio quella categoria di termini con cui gonfiamo ad arte, noi di Five Obstructions, le nostre bocche. Un bildungsroman è niente più e niente meno che un romanzo di formazione. Quelli, per intenderci, tipo Candido di Voltaire o Siddhartha di Hesse. Se dietro questo genere si possono trovare alcuni esempi di capolavori della letteratura, normalmente tale forma narrativa è una delle più insopportabili e abusate da autori inetti. Rientrano in questa categoria tutte le facilonerie morali su quanto sia bello essere naturalmente conformi alle regole di educazione del buonismo e della forma. Generalmente un bildungsroman ha protagonisti bambini o adolescenti che vengono accompagnati nel periodo della crescita. E quando i bambini sono i mattatori si sceglie generalmente un’ambientazione fantastica, giusto per riuscire a impressionare meglio le loro labili menti ed inculcargli bene a fuoco le due o tre nozioni morali scontate del messaggio da veicolare. Five Obstructions quindi sceglierà per voi alcuni bildungs-film, consci di poter trovare quelle gemme della letteratura in mezzo al mare di banalità.



1 - Labyrinth

Labyrinth rappresenta per una fetta importante dei tardo ventenni e inizio trentenni di oggi una tappa importantissima della loro formazione professionale. La maggior parte di essi ha visto e amato le magie e i messaggi che questo film ha trasmesso alla fine degli anni ’80. Un sottoinsieme di loro inoltre, i maschietti direi, è anche di sicuro stato oggetto di scompensi ormonali da blocco della crescita (o da eccessivo sviluppo) dalla presenza scenica di una giovanissima Jennifer Connely.

Come per quanto riguarda la fabbrica di cioccolato di Willy Wonka, anche in questo caso non ci troviamo di fronte a un canovaccio da letture multistrato e profonde. Eppure Labyrinth riesce ugualmente a stregare e a dire la sua, a tutt’oggi. Innanzi tutto perché gli effetti speciali cartonati riescono comunque a reggere la scena, immersi in un mondo fantastico e infantile che nulla ha da invidiare ad Alice nel paese delle meraviglie in quanto a durata immortale nell’immaginario collettivo. E in seconda battuta perché le tematiche avventurose di Sarah sono un mix letale (in senso positivo) di clichè e modernità.
La ragazzina che sente la voglia di crescere è infatti un topos dell’adolescenza femminile. Ma l’aggiunta del piccolo fardello rappresentato dal fratello da cui ci si liberare è astuta e molto aderente alla poetica dell’egoismo e solipsismo che dagli anni ’80 tanto male ha fatto all’umanità fino ai giorni nostri. Scaltro e lungimirante, Jim Henson riesce a parlarci del presente e del futuro con lo stesso fascino e linguaggio universale del nostro passato reale e fantastico.

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Voto (4/5):


2 - MirrorMask

Neil Gaiman è uno scrittore e sceneggiatore di fumetti assai talentuoso e fantasioso. Tra le sue opere si possono annoverare molti elementi ricorrenti, soprattutto una vena fantasy e dark molto marcata che lo rendono estremamente affascinante agli occhi di chi apprezza questa fantasia. Sfortunatamente tale stile e tematiche non sono molto semplici da riportare su pellicola e gli adattamenti cinematografici delle sue storie sono stati, fino ad adesso, piuttosto deludenti.
Prendiamo questo MirrorMask. Scopo dichiarato del regista è quello di portarci in un mondo incantato e fantasioso, popolato di meraviglie capaci di farci rimanere a bocca aperta. A bocca aperta rimaniamo, sì, ma per l’estrema bruttezza di tutto il comparto di effetti speciali. Una computer grafica plasticosa, insopportabilmente scadente e poco ispirata, non mascherata da una fotografia ridicola, mostrano evidentemente il fianco alle più facili critiche. La sospensione dell’incredulità davanti a un mondo così finto non sopravvive che pochi secondi.

Non è solo colpa del bassissimo budget però. Anche la realizzazione in fatto di rappresentazione e interpretazione da parte degli attori di quanto scritto su carta è poverissima. Così come dovrebbe essere la fase della maturazione della protagonista, impegnata nell’evitare di doversi trasformare in una “regina cattiva”, pensate, che si mette un po’ di rossetto scuro, mascara e osa rispondere a voce alta al padre (Orrore! Orrore!).

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Voto (2/5):


3 - Il labirinto del fauno

Seguito, anche se narrativamente non collegato, del bellissimo La spina del diavolo, questo labirinto del fauno ci porta nel mondo di fantasia che prende vita all’interno della mente di una ragazzina. In questo caso il mondo fatato non corrisponde a una vera e propria crescita interna della psiche della protagonista, quanto più a una sovrastruttura con cui la piccola cerca di sopravvivere agli orrori che la circondano.
Come ne La spina del diavolo, infatti, siamo nella Spagna devastata dalla guerra civile. E gli orrori veri della guerra, tra partigiani, gerarchi franchisti e violenze alla madre vengono rimpiazzati dagli orrori finti delle tre prove del fauno. Una splendida metafora con cui la piccola protagonista cerca di rendersi padrona di una situazione che sfugge al suo controllo.
Nel labirinto del fauno si mescola una potente miscela fatta di fantasia e spettacolarità divina. Una fotografia e un uso dell’effetto speciale che rende unica ogni sensazione di fronte al capolavoro di Del Toro. Un mattacchione messicano che è stato in grado di regalarci, con questo film, alcune tra le più belle immagini viste nel 2006 proiettate su un grande telo bianco.

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Voto (5/5):


4 - Nel paese delle creature selvagge

Max, un bambino come tanti altri. Gioca, ha una grande fantasia. Una madre a cui vuole un mondo di bene. E una piccola cotta da bambino. Max è assolutamente normale e, come tutti i bambini assolutamente normali, sente che il mondo che ha attorno gli va stretto. Da sua madre vuole più amore e attenzioni, dalla sua cotta vorrebbe almeno uno sguardo che ricambiasse i suoi sentimenti. Frustrazione e voglia di crescere lo rendono anarchicamente trasgressivo.
Questa miscela di anarchia e fantasia è dannosa per il mondo. Brucia più a fondo del napalm. Il mondo non è abituato a chi vuole percorrere a fondo la propria strada senza guardare in faccia a nessuno. E lo deve stigmatizzare, indicare, isolare. Max non ci sta e fugge via da una struttura oppressiva e asfissiante. Per trovare posto dove le sue pulsioni e le persone che abitano la sua vita divengono personaggi stilizzati ed enormi mostri da dominare.
Abbiamo quindi il lato tenero e testardo di Max. O la sua voglia di attenzioni. O la figura della madre saggia e protettiva (quanto sono dolci tutte le rappresentazioni che nel film suggeriscono la composizione di un caldo nido in cui rifugiarsi). O dell’amata. Grosse figure che non giudicano, ma sanno vivere in armonia con ciò che sta attorno a loro e che fanno capire a Max quale sia la vera strada da percorrere. Non repressione, ma nemmeno l’estremo opposto rappresentato dall’anarchia distruttiva.

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Voto (4/5):




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