Frammenti#3: Globe Trotter
Ostacoli | Film |
Film dedicati a una città Film episodici Film non girati da solo un regista Film tutti di nazionalità diverse |
1 - Tokyo!
2 - Paris, je t'aime 3 - Toronto Stories 4 - New York stories |
Se c’è una cosa di bello nel fare lo schiavo moderno, professione altresì nota come “dottorato”, questa è sicuramente il viaggio. Per lavoro, quando hai abbastanza culo da farti accettare un paio di articoli, si vola nei più reconditi angoli del globo. Ed è una goduria stare per lavoro in posti dove normalmente la gente sogna la vacanza. Perché è bello partire, viaggiare, vedere gente e posti lontani e magari diversissimi. Five Obstructions ha quindi deciso questa volta di portarvi in giro per il mondo. Una vacanza premio per tutti i fedelissimi lettori. Preparate quindi armi e bagagli e ci vediamo all’aeroporto di Larsopoli. Pensiamo a tutto noi: alla comodità delle poltrone, al servizio alcool c’è il prode Damiano, per la selezione dei film da proiettare nel tragitto che vi riporterà a casa ci sono io. Eh sì, perché come vi potete immaginare Five Obstructions vi fa viaggiare comodamente seduti a casa vostra, proponendovi un gustoso menu di film dedicati a città del mondo. Film episodici, affidati alle sapienti mani di una intera squadra di registi giramondo.
1 - Tokyo!
Ah… Il Giappone. Terra di scolarette vestite alla marinara, robottoni e alieni che vogliono a tutti i costi distruggere sempre lo stesso grattacielo di Tokyo. Come non amarlo? Se lo chiedono tra registi che del cinema stanno facendo, a modo loro la storia. Il risultato sono tre mediometraggi che fanno della potenza visiva e dell’originalità di sceneggiatura i loro punti forti. Il più immediato è senza dubbio quello di Carax, che fa una parodia fin troppo esplicita proprio dei grossi mostri che devastano la città, ribaltandone però i cliché: a farlo è un essere che appare simile all’uomo, che viene anche processato e di cui viene, genialmente, annunciato un remake americano.
Salendo i gradini del mio personale gusto troviamo l’opera in apertura di Gondry. In una terra che valuta i propri cittadini sulla scala della produttività come il Giappone sentirsi artisti non è facile. Soprattutto quando l’ambiente attorno a te viene valutato solo per quanto riguarda il parametro dei servizi e della ricchezza prodotta. Una fonte profonda di disagio, non a caso il Giappone primeggia nelle statistiche dei suicidi. E che viene metabolizzata in forma visiva da Gondry in maniera ineccepibile (e pure agghiacciante).
Infine troviamo la parte di Joon-Ho Bong, abituato da sempre a parlare per metafore (come nel bel The host). Joon-Ho ci parla degli hikikomori, un fenomeno comune in Giappone in cui gli individui decidono liberamente di privarsi di tutti i rapporti sociali e di vivere in stato di quasi totale isolamento. Il regista sudcoreano ci dà un ritratto affascinante di una Tokyo ridotta al deserto più completo da questa mania e del terremoto di uno di loro che per amore decidere di scuoterla e uscire da questa situazione. Decisamente il miglior capitolo.
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2 - Paris, je t'aime
Parigi in una ventina di cortometraggi. Ognuno dei quali prende il nome da uno dei posti più celebri della metropoli d’oltralpe. Un progetto ambizioso, vuoi perché è difficile raccontare un luogo in una manciata così sparuta di minuti, vuoi perché coinvolgere un numero così elevato di autori può essere un problema sugli equilibri qualitativi e di ritmo di una pellicola. Difficile anche valutare un film del genere, in quanto molti esempi meriterebbero di essere trattati singolarmente e con fiumi di parole.
Tra gli esempi più convincenti stanno senza dubbio i fratelli Coen, che mediante la muta espressività di un grandissimo Steve Buscemi riescono a far ridere e parlare del versante più caliente del sangue latino. Oppure per il Vincenzo Natali che non ti aspetti: il papà di Nothing dà vita a un piccolo gioiello di fantasy romantico espressionista, svolto in guisa comica e visivamente affascinante. O anche Van Sant, che applica la sua poetica à la Elephant per le strade parigine.
Pollice assolutamente verso per tutti coloro che svolgono un patetico compitino nel raccontare con le solite banalità zuccherose il particolare rapporto multietnico di questa mela europea (e mi rivolgo al corto arabeggiante di Gurinder Chadha). Oppure a Twykler che riesce a banalizzare anche il tema della cecità (in questo deve prendere nota dallo svolgimento di Lelouch in 11 Settembre 2001) e la bellezza della Portman. In sostanza rimane un’accozzaglia più o meno riuscita, che riesce però a scivolare via con piacere, proprio come la città di Parigi.
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3 - Toronto Stories
Suona un po’ fuori posto una raccolta di corti dedicati a… Toronto. Non che abbia qualcosa contro i canadesi. Ma quando si pensa a città che meriterebbero una raccolta di storie d’autore si potrebbe stilare una lunga, lunghissima lista di città affascinanti a cui dedicarsi. E Toronto non è di certo in questa lista. Il che può essere un male (poche cose da dire, poco sottostrato culturale collettivo da cui cogliere), ma anche un bene (possibilità di slegarsi da una banale elegia cittadina, originalità).
Gli autori che si mettono all’opera in questi corti non sono certo conosciuti e affermati in campo internazionale. E non si può dire che le ragioni non si vedano. Gli sviluppi delle storie, oltre ad essere piuttosto slegate dalla città di Toronto, risultano frettolosi, tagliati a metà, incompleti. Il corto iniziale dei due bambini potrebbe essere il migliore del lotto, se non fosse del tutto campato per aria.
Il filo conduttore del bambino smarrito è inoltre privo di fascino e di significato e assume pesi diversi in spezzoni diversi, quando sarebbe lecito pensare che rappresenti una spina dorsale strutturale (un po’ come il personaggio di Rorschach nella versione fumettosa di Watchmen). Senza poi considerare che altri corti invece (specie quello della regista di origine sudcoreana) risultano essere discutibili e noiosetti.
Voto (1/5): |
4 - New York stories
Un dream team di altissimo livello, quello che nel 1989 è stato messo insieme per cantare le storie che abitano la grande mela. Francis Ford Coppola, Martin Scorsese e Woody Allen. Curioso scoprire in questi tre corti molti punti in comune, sia strutturali che espressivi, ma soprattutto di situazione extra cinematografica, in particolare la carriera. Tre grandissimi autori che negli anni 90 hanno trovato probabilmente la loro fine.
I corti contengono tutti una fondamentale caratteristica comune: l’irrazionalità. Sia inquadrata dal punto di vista dell’arte (Scorsese e Coppola) che dalle situazioni paradossali e anti-scientifiche (Allen). In particolare il corto di Coppola rivela come sia molto forte l’emergente personalità della figlia. Alla fine il corto risulta non essere niente di che: il padre è imbrigliato nella stanchezza che gli impedisce di governare la scena e la figlia è evidentemente troppo acerba. Ma nelle vicende di Zoe si vedono già gli embrioni della poetica della femminilità che dalle vergini suicide a Maria Antonietta ha reso famoso e personalissimo il cinema della Coppola jr.
Più scarico Allen, la cui comicità comincia ad aver bisogno dei suoi colpi di coda prima del ritiro in Europa. Più grintoso Scorsese, che dei tre è decisamente quello invecchiato meglio, anche se nemmeno il suo corto riesce a decollare dai pochi clichè della vita del famigerato “artista postmoderno affermato”.
Voto (2/5): |