Storia a passo uno
Nata praticamente in contemporanea con l’invenzione del cinema, l’animazione in stop-motion (o “a passo uno”) è sicuramente una delle tecniche espressive che conserva un immutato fascino fino ai giorni nostri. Tale tecnica consiste nel fotografare degli oggetti immobili spostandoli per ogni foto. In tal modo montando una dietro l’altra le fotografie è possibile dare l’illusione del movimento. Si può dire che la stop-motion, di cui esistono molte varianti, è di fatto la computer grafica di inizio Novecento. La sua lunga e gloriosa storia, spesso un po’ nascosta dietro la semplice dicitura di effetto speciale, rende molto interessante trovare esempi paradigmatici della sua evoluzione.
1 - The cameraman's revenge
Questo corto narra la storia di un fotografo che, maltrattato da una personalità importante, decide di riprenderlo mentre tradisce la moglie e di proiettare queste immagine in un cinema dove è presente la stessa moglie. Dove sta l’interesse in una storiella come questa, raccontata per di più con la bambinesca ingenuità adatta a un pubblico di infanti? Nel fatto che i protagonisti del corto sono il signor Cavalletta, la signora e il signor Scarafaggio.
L’intuizione che sta alla base di questo piccolo show per bambini di Starewicz è di quelle che scardina il mondo. Già in questa opera, e ancora più in altre seguenti, si nota come l’entomologo polacco riesca a dare una grande fluidità dei movimenti ai suoi insetti. La messa in scena è riuscitissima fin dai primi secondi, e il suo umorismo è in grado di contagiare anche uno smaliziato spettatore del XXI secolo.
Più che in altre opere di Starewicz c’è anche da rivelare una sottile consapevolezza del mezzo cinematografico, che oltre ad essere usato come mai prima di quel momento, al pari di Melies, in questo caso diventa anche oggetto interno alla narrazione. Un oggetto che svolge un ruolo centrale nella storia, una piccola geniale scintilla di intuizione di quanto sia rivoluzionario l’insignificante pupazzetto che nel 1912 l’autore stava tenendo tra le mani.
Voto (5/5): |
2 - King kong
Glissando senza troppi problemi sui vari remake che si sono susseguiti negli anni, questo film del 1933 se viene raffrontato al suo remake ad opera di Peter Jackson diventa un esempio paradigmatico dello scambio dei ruoli tra le tecniche della stop motion e della computer grafica. Entrambi i film sono infatti dei grandiosi kolossal ed entrambi i film puntano su una spettacolarizzazione dell’effetto speciale come mai visto prima.
Se lo si guarda con un occhio appena attento, il King Kong del ’33 rappresenta un approccio tecnico assai barocco per quanto riguarda gli effetti speciali. Gorilla e lucertolone infatti vengono animati e sistemati su multipli schermi di trasparenza rendendo l’azione molto teatrale (anche se viene percepita un po’ distaccata dallo spettatore). In una scena si nota che probabilmente sono stati usati più schermi di trasparenza contemporaneamente (si ricorda che uno schermo di trasparenza consiste nel riprendere prima lo sfondo e poi proiettarlo alle spalle dei personaggi su un enorme telo bianco).
Questo uso e abuso dell’effetto è ripreso completamente nel grandioso King Kong di Jackson, ma è sostituito con la stop motion del presente, in un insolito e personalissimo parallelismo.
Voto (4/5): |
3 - Giasone e gli Argonauti
Con la collaborazione a questo film si può dire che Harryhausen, uno dei luminari dell’arte della stop motion, raggiunge una delle sue vette tecniche. Eppure non riesco a celare una certa insoddisfazione per la resa visiva della sua opera, più a demerito della regia che suo.
Tutte le animazioni sono realizzate infatti in maniera magistrale, a partire dal gigante di bronzo. Tuttavia il modo in cui sono messe in scena lascia piuttosto indifferenti. C’è un netto distacco tra l’azione ripresa da Don Chaffey e quella creata da Harryhausen: l’impressione che gli Argonauti continuino a dare ripetutamente dei fendenti in aria è troppo evidente.
Da cosa deriva tutto questo? Dal fatto che in questo e in molti altri casi simili, la stop motion non è la ponderata conseguenza di una cifra stilistica, ma si riduce a mero effetto speciale, scelto praticamente per forza. Non c’era altro modo per far interagire gli eroi con un esercito di scheletri e quindi ci si è “accontentati”. Non si possono raffrontare quindi questi mucchietti d’ossa con quelli sboccati e geniali de L’armata delle tenebre, realizzati forse tecnicamente peggio, ma almeno con un’anima e uno scopo.
Leggi la scheda del film >>>Voto (2/5): |
4 - L'impero colpisce ancora
Al pari di 2001: Odissea nello spazio, la trilogia di Star Wars ha rappresentato un nuovo punto di non ritorno per quello che riguarda gli effetti speciali. A partire dal 1977 fare fantascienza, o qualsiasi altra pellicola che richiedesse un certo impianto scenografico, non sarebbe più stata la stessa cosa.
Verrebbe da pensare che la rivoluzione operata da Lucas sia una totale rottura col passato, e che le operazioni della neonata Industrial Lights & Magic stabilissero un indiscusso primato delle nuove tecnologie digitali sulla tradizione analogica in cui aveva vissuto il cinema. Questa supposizione si sarebbe rivelata veritiera con il passare degli anni, ma il merito di Lucas è stato quello (raramente poi ripetuto) di riuscire a fondere in un amalgama di rara magia la computer grafica con la stop motion.
Nel film in questione, per fare un esempio, l’attacco iniziale degli enormi mammut tecnologici è realizzato proprio con il nostro mammut tecnologico della stop motion. E in questo caso il lento e irregolare avanzare iper-definito, causato dagli effetti collaterali di questa tecnica, veste magistralmente lo stile che viene regalato all’impero del male, molto più di quanto possa mai fare un pugno di bit luminosi.
Leggi la scheda del film >>>Voto (4/5): |
5 - Faust
Con Svankmajer si giunge a una fase in cui la tecnica della stop motion è definitivamente declassata a effetto di serie B per quanto riguarda le produzioni mainstream ed è quindi diventata una firma da apporre alle proprie opere d’autore. Il filmmaker ceco ci offre con il suo Faust una personalissima interpretazione di questo modo di concepire il cinema.
La sua opera infatti è quasi per intero ambientata all’interno di un teatro, in cui al Faust in carne, ossa e cerume del trucco di scena, si affiancano scenografie di cartone e marionette a grandezza d’uomo. Il parallelismo tra uomo e marionetta è più che evidente, ma anche angeli e demoni di creta sono dei semplici pedoni su una scacchiera in cui sono ammessi solo due giocatori: la malizia divina/demoniaca e la follia.
Fondamentale è infatti l’esilarante figura del buffone, che è l’unico essere in grado di farsi davvero beffe del demonio dall’interno del suo circolo di sicurezza. E tali marionette, così come le creazioni di Faust, prendono vita con la magia della stop motion, in grado di dare una forma vera e concreta alla smania di creazione che pervade l’animo dell’uomo-Faust.
Voto (4/5): |
6 - La sposa cadavere
La sposa cadavere è un film che chiude, in maniera triste e desolante, il ciclo che ha portato ai giorni nostri la stop motion come tecnica affascinante e portatrice di una bellezza elitaria e particolare. Complessivamente il film non è da buttare, basti anche solo citare il comparto musicale curato da Elfman e la perizia alla regia di Burton. Ma con Victor e Victoria nella fossa della sposa si va a depositare tutta la magia di un regista che poteva essere considerato uno dei maestri di questa tecnica.
La realizzazione visiva è infatti disarmante. Si arriva a definire un intimo intrecciarsi tra la computer grafica e l’animazione a passo uno con delle modalità diametralmente opposte da quelle attuate da Lucas per Star wars. In questo caso infatti la pulizia dell’elettronica spoglia completamente da tutta la magia i protagonisti, in cui è evidente la mancanza di anima in fondo ai loro occhi.
Un uso così sconsiderato inquina quella che dovrebbe essere l’anima del cinema in stop motion e non può che lasciare insoddisfatti. E getta dei pesanti dubbi sulla speranza di vedere nuovamente questa tecnica usata con maestria in un prodotto che possa beneficiare di un pubblico più vasto di quello necessariamente di nicchia di uno Svankmajer.
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