Terrore a stelle e strisce
Gli americani, si sa, sono un popolo incredibilmente nazionalista e patriottico. Se il governo USA ce l’ha su con i russi, tutti a scrivere canzoni e fare film contro il Cremlino e la Vodka. Se il governo USA ce l’ha su con i francesi, ecco che tutti cambiano nome alle patatine fritte e cominciano a scrivere sulle porte dei cessi “nouvelle vaugue sucks!”. Insomma anche gli artisti americani non sempre sono stati in grado di andare contro le idee spesso unilaterali del proprio governo. Ma proprio a quelli che ci sono riusciti è dedicata questa playlist: il terrorismo “buono” di chi ha cantato fuori dal coro, di chi ha cercato di intonare le proprie schitarrate contro la nazione più nazione che c’è. Insomma una visione relativistica del terrorismo…questa volta il terrore è il terrore sano di chi cerca di svegliare i propri concittadini da un atavico sonno della ragione.
- Killing in the name of – Rage against the machine: i Rage against the machine sono stati uno dei pochi gruppi davvero “politici” statunitensi. Oltreoceano infatti ci vanno molto più soft rispetto a noi europei con l’impegno politico in musica e, soprattutto, lo fanno di solito in modo più velato. Non è il caso dei ragazzacci di Morello che, con tanto di ampli aerografato con l’effige di Che Guevara, hanno portato in classifica questo pezzo davvero, davvero “terroristico”!
- Born in the USA – Bruce Springsteen: come poteva mancare da questa playlist a stelle e strisce il solo, l’unico, l’inimitabile BOSS! Springsteen non ha mai nascosto nelle sue liriche l’attenzione verso i più deboli, i poveri, gli emarginati. Questo “contro-inno” altro non è che un coro contro la guerra, arte in cui da diversi decenni gli Stati Uniti sono assoluti fuoriclasse. Vai Boss!
- Boom – System of a down: i System of a Down risentono delle proprie origini europee (sono armeni) e non hanno mai nascosto il proprio impegno sociale e politico. Questa canzone, scritta come protesta per l’intervento in Iraq, è diventata famosa soprattutto grazie al video, in cui scorrono le immagini dei cortei organizzati in tutto il mondo il 15 Febbraio 2003, in quella che è stata la più grande marcia globale per la pace della storia dell’umanità. Boom!
- It’s the end of the world (as we know it) – Rem: Michael Stipe e soci sono sempre stati accesi sostenitori dei democratici e fieri oppositori di tutti i Bush possibili ed immaginabili. Ciononostante le loro canzoni non si sono mai occupate direttamente di temi politici che, per stessa ammissione di Stipe, sono davvero “noiosi”. Ciononostante questa canzone, tratta da Document del 1987, se ascoltata attentamente rivela sottili stilettate al reaganismo dilagante negli USA di fine anni 80.
- American Idiot – Green Day: io non amo molto i Green Day ma, in questa playlist, ci stanno proprio bene. Dopo gli esordi molto pop e molto adolescenziali, infatti, i Green Day si sono progressivamente evoluti, lasciandosi andare anche a divagazioni politiche come questa American Idiot che, sempre attento, vi propongo.
- Talking about a revolution – Traccy Chapman: questa canzone meriterebbe di stare in tutte le playlist di tutti i playlistari del mondo. E in particolar modo nelle playlist che riguardano l’impegno sociale e politico. Questa androgina cantautrice americana, infatti, si è sempre distinta per la sua musica fortemente orientata a temi sociali e, più nel dettaglio, agli squilibri della nostra zozza società. Ma chi se ne frega, aldilà di tutto questa canzone è proprio stupenda!
- The Star-sprangled Banner – Jimi Hendrix: a Woodstock, Jimi Hendrix…suona l’inno americano!!!
- Tu vuò fa’ l’americano – Renato Carosone: tutto quello che i blasonatissimi nomi appena citati nella playlist hanno provato a dire sul loro paese, lo aveva intuito anni prima il buon Renato Carosone. Chapeau Renato, chapeau.