Film

Win/win

Ivan lavora come semplice tirocinante in un’agenzia d’affari di Amsterdam e lascia post-it sparsi in giro per l’ufficio con dritte sulle operazioni in borsa che ritiene più redditizie. Uno dei suoi superiori lo nota e gli dà la possibilità di fare il salto di qualità: da quel momento Ivan ha la possibilità di vendere e comprare direttamente azioni per conto della compagnia. Magicamente, Ivan scopre di non riuscire per qualche motivo a fare una scelta sbagliata. Attorno questo suo talento per le azioni giuste al momento giusto ruotano Stef, il superiore che l’ha notato; Deniz, la centralinista di cui è da sempre invaghito e “Paul”, broker sudcoreano che tuttavia ha ben diversa fortuna con le operazioni di borsa.

Misconosciuto, questo olandesissimo Jaap van Heusden. Eppure interessante, a giudicare da questo suo primo lungometraggio, dopo una serie di corti dei quali, comunque, non so nulla. Ciò che colpisce è il fatto che non pare di trovarsi di fronte a un novellino del cinema. La regia che mette in piedi sembra già quella di un affermato seguace del Dogma di Von Trier, o meglio del post-dogma. Van Heusden gira con stile scandinavo (ma particolarmente danese) con una buona pulizia e capacità tecnica. Riesce a coniugare questa cifra stilistica, e qua siamo su un campo niente affatto banale, anche con una maggiore vivacità della messa in scena. Questo Win/Win ne risulta godere appieno, come uno strano figlio mutante tra la Danimarca e un cinema più latino, francese nel senso più allegro e meno pretenziosamente intellettualoide del termine.

Il film tratta fondamentalmente della solitudine dei predestinati. In fase di scrittura, van Heusden deve aver fatto grandissima attenzione a come calibrare ciò che succede attorno al suo Ivan. Ne risulta una storia che procede con un adagio elegante, e che soprattutto evita di precipitare in scoscesi burroni attraverso cui ha scelto di passare. Nulla nella pellicola fa pensare che Ivan sia un vero Eletto in grado di manipolare la realtà, né che esista una dea bendata innamorata di lui che gli fa andare per il verso giusto ogni azzardo. Chissà come, van Heusden è capace di persuadere a fondo il suo spettatore che ciò che accade è davvero frutto di combinazioni di capacità straordinarie, tempismo, fortuna e aiuto degli altri. In altre parole: caso.

“Cosa succede dunque ai grandi vincenti che paiono non sbagliare un colpo?” pare la domanda del regista olandese. Succede che chi non si conforma a una precisa idea di vita e di divertimento risulta sempre più solo, ai margini, esiliato. Non riesce più a percepire nulla che sia vero nel proprio appartamento asettico, al punto da vagare come un’anima persa nei vicoli di Amsterdam. La violenza subdola di un conformismo che si presenta appagante e la migliore cosa del mondo, con i suoi motoscafi e orologi firmati, finisce per distruggere chi è fatto in maniera diversa. E il divide et impera di chi ha impostato tutta la nostra vita su numeri che devono diventare verdi e report settimanali diviene una dittatura alla quale è impossibile ribellarsi, in quanto non costringe nessuno a stare dentro. Nessuno che, comunque, dentro sente di doverci stare.

Il gioco diventa fin troppo evidente quando si vede cosa succede a chi non rispetta questi report settimanali. Una distesa di vestiti appesi fuori dall’armadio è un’agghiacciante presa di coscienza di quale sia il posto per chi non è capace di far diventare quei numeri verdi. Non siamo quindi di fronte a uno Scarface della finanza. Per quanto le situazioni possano essere simili, siamo lontani anni luce da un nuovo Wall Street. Ma ne sarebbe forse un seguito modernizzato molto più degno rispetto a quel Money never sleeps di quest’anno. A dirla tutta, credo che lo stesso originale Wall Street sarebbe stato solo un pallido sweguito di questo Win/Win.

4 / 5

Saluti,

Michele

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2 Responses to “Win/win”

  1. On 03/12/2010 at 23:01 Maghetta responded with... #

    Sembra interessante :O

  2. On 09/12/2010 at 21:13 Damiano responded with... #

    Beh, mi stavi per convincere con quel “gira con stile scandinavo (ma particolarmente danese)”. Se è particolarmente danese però no, non me la sento. Un po’ danese si. Particolarmente no.

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