Variazioni

Ghe pensi mi

OstacoliFilm

1 - Akira
2 - Final Fantasy: The Spirits Within
3 - Hellraiser
4 - Guida per riconoscere i tuoi santi

Un tema che può essere considerato abbastanza simile con quello della variazione pubblicata precedentemente su queste pagine. Siamo nuovamente di fronte a qualcosa che fa spesso inorridire il pubblico gonfio di pregiudizi: l’adattamento cinematografico di un’opera pensata per un altro medium. Il cinema lo fa molto, molto spesso. Trae le sue storie da libri, fumetti, perfino canzoni a volte. E spesso ci si trova di fronte ai fan dell’opera originale che dal loro tronfio trono sentenziano che “Non è assolutamente possibile rendere su pellicola lo spirito originale o la fedeltà alla storia”. A parte il fatto che la fedeltà può non essere né un bene né un obiettivo desiderabile, rimane tutto da dimostrare come il cambio di mezzo possa portare una non fedeltà migliore dell’originale. Ma di sicuro la fedeltà nello spirito non può venire meno se a cimentarsi come regista è lo stesso ideatore dell’opera originale, di qualsiasi mezzo si sia servito in partenza. Una mossa che può mettere a tacere il fanboy e che è la cosa interessante da esplorare con la variazione che vi vado a proporre.



1 - Akira

Il film di Otomo è rimasto per moltissimi anni un pilastro centrale dell’animazione Giapponese. Si può dire che il suo ruolo negli anni ’80 sia stato esattamente quello che ha svolto Ghost in the shell negli anni 90: il punto più alto dell’espressione tecnica (l’animazione è a livelli strepitosi, risulta più moderna e accattivante di molte produzioni odierne) e una riproposizione innovativa degli stilemi narrativi (sia di forma che di contenuto) tipici delle produzioni giapponesi.

Otomo trova la perfetta sintesi tra i contenuti del suo manga e l’animazione che mette in atto. Si può dire che questa integrazione raggiunga degli ottimi livelli ed esprima con i migliori mezzi possibili quello che aveva da dire. La stessa cosa non si può dire, ad esempio, per una successiva realizzazione di una sua opera, ovvero il remake di Metropolis. In Metropolis c’è un disperato tentativo di rendere più personale visivamente la veste dei contenuti, che rappresentano troppo spesso una riproposizione pedissequa di ciò che era già stato detto in Akira. Viceversa l’opera degli anni 80 non era solo più genuina in ciò che voleva dire allo spettatore, ma non si avverte minimamente il taglio tra forma e contenuto.
Akira è un tutt’uno molto meglio riuscito, segno di come l’adattamento di ciò che esce dalla matita di Otomo debba necessariamente essere animato da quella stessa matita. Il connubio manga-anime in Giappone risulta, dall’esempio paradigmatico di Akira, un tutt’uno quasi indissolubile e unico, poco riproponibile ed adattabile nella cultura espressiva Occidentale.

Leggi la scheda del film >>>

Voto (5/5):


2 - Final Fantasy: The Spirits Within

Final Fantasy è una serie di videogiochi giapponese affascinante e controversa. Purtroppo nessuno di questi due aggettivi si possono associare anche ai due film che ne sono stati tratti, di cui questo è il primo. Nonostante al timone ci fosse l’ideatore originale della serie, questo Spirit Within si è rivelato scialbo, poco ispirato e insospettabilmente piatto.
Final Fantasy si spaccia come gioco di ruolo. In realtà la critica che molti gli fanno, e per questo motivo odiano la serie, è che non c’è la libertà di interpretare il proprio ruolo e non ci sono le classiche meccaniche di gioco come in un classico GDR. In Giappone fare un gioco di ruolo significa avere un ruolo e una storia ben delineata davanti e seguirla, come si segue un libro o un film (è il concetto di J-RPG). E la forza che ha fatto emergere Final Fantasy è proprio questa: una storia lunga, avvincente, affascinante, ben narrata e con personaggi ben caratterizzati. Ancora una volta rammarica far notare che questa lunga lista di qualità continua a mancare completamente in questo adattamento creato per mano di Sakaguchi.

Cosa rimane della serie originale? Rimane il fatto che è slegato a qualsiasi altro episodio della serie (un po’ poco). Rimane una tecnica visiva straordinaria per un gioco (del 2001), ma non per un film (del 2001), altro poco. Rimangono i temi di fondo: le infinite variazioni sul tema di Gaia, il ciclo della vita, il profondo senso di potere e sintonia col mondo innato nel protagonista. Ancora poco, pochissimo.

Leggi la scheda del film >>>

Voto (2/5):


3 - Hellraiser

Pinhead è è, tra i personaggi creati dalla penna di Clive Baker, forse il più popolare e pervasivo nell’immaginario collettivo. Forse proprio per questa ragione un film dedicato alle sue gesta è stato ritenuto, dallo stesso Baker, qualcosa di troppo importante per sfuggire al suo controllo. E si è messo alla direzione lui stesso. Creando con questo film e con il suo seguito un dualismo da yin e yang dell’adattamento cinematografico.
Hellraiser è un buon adattamento. Riesce a proporre le vicende del libro in forma efficace e anche con un certo gusto ed efficacia nel proporre il “mostro” attraverso l’effetto speciale. Il suo difetto principale è l’essere troppo classico, troppo un film da canone degli anni 80. La vicenda è inquadrata in maniera piatta e non profonda, e lo spettatore non è mai realmente proiettato a vivere la paura che viene proposta sullo schermo.
Viceversa Hellbound (Hellraiser 2) è molto più profondo ed emotivamente coinvolgente. Risultano però suoi difetti quelli che avevano salvato il primo capitolo dall’insufficienza. Ovvero un pacchiano uso dell’effetto speciale, un low budget spiattellato sulla faccia dello spettatore senza alcun minimo talento nel presentare questa situazione con più malizia cinematografica. Baker è assolutamente incapace nel riuscire a trasformare i suoi limiti in maniera funzionale alla storia, fatto che lo rende un regista decisamente mediocre, del tutto incapace di tradursi su pellicola.

Leggi la scheda del film >>>

Voto (2/5):


4 - Guida per riconoscere i tuoi santi

Il film di Dito Montiel guadagna punti nella scala di interesse nella storia degli adattamenti cinematografici: non solo il regista adatta un suo libro, ma adatta la sua intera giovinezza. Si può dire che il compito di Montiel diventi difficile al quadrato: posto che ogni opera è, in piccolo, un adattamento di un pezzo di mondo del proprio autore, come si comporta questo autore quando questo piccolo velo di mistificazione fantastica viene a cadere?
Non benissimo. Questa guida per riconoscere i tuoi santi è fondamentalmente un po’ banale. La storia di Montiel è unica per Montiel, ma non troppo per noi. C’è un qualcosa di già visto, c’è un pizzico di Mean streets che poco dovrebbe comparire, se si volesse raccontare una storia vera. C’è anche una certa autoindulgenza retorica e poco efficace in alcuni momenti, che ricorda certe cadute di stile alla American Beauty.
Non ingannino però tutte queste critiche. La componente stilistica del film riesce ad essere a tratti molti cruda ed efficace, sia nel comparto visivo che sonoro (la scena della martellata… ouch!). Assolutamente di spicco su tutti è Martin Compston, che con il poco tempo a lui messo a disposizione batte l’intero cast, da Downey jr allo sbarbatello LaBeouf. Un film che non rappresenta un buon adattamento, ma in generale che val la pena guardare.

Leggi la scheda del film >>>

Voto (3/5):




Ostacoli: ,

No comments yet.

Add your response